Pianta scovolino e una storia sugli erbicidi
Parliamo di una pianta diffusa nei giardini di molte zone del mondo, ma che è originaria dell’Australia: la pianta scovolino (guardando la sua foto è facile capire perché è chiamata così). Esistono in realtà diverse specie di piante scovolino, tutte appartenenti alla stessa famiglia cui appartiene il mirto (Myrtaceae). Qui, ci concentreremo sulla specie più conosciuta, che è Callistemon citrinus (ora Melaleuca citrina).
Se sei un lettore di questo blog, sai già che le piante producono sempre una miscela complessa di diverse sostanze chimiche. Nel caso del Callistemon, ci concentreremo principalmente su un composto specifico. Iniziamo con una breve storia…
La storia inizia nel 1977, quando si osservò che non c’erano molte piante che crescevano in prossimità di piante di Callistemon [1]. I ricercatori iniziarono quindi a chiedersi cosa potesse causare questo effetto. A questo punto vale la pena sottolineare che non era la prima volta che si osservava un fenomeno del genere. Secoli prima, personaggi illustri, come Teofrasto e Plinio il Vecchio, lo avevano osservato già per altre piante [2]. Nel 1977 si sapeva che composti prodotti dalle piante erano coinvolti in questo fenomeno. Pertanto, coloro che cercavano di comprendere l’inibizione della crescita di altre piante da parte di Callistemon si concentrarono sulla ricerca delle sostanze chimiche coinvolte. Scoprendo, infatti, un composto prodotto dalla pianta, chiamato leptospermone, che in realtà era già noto e che si trova anche nell’olio di manuka [3]. Tuttavia, il suo effetto su altre piante non era ancora stato studiato all’epoca. Fu dimostrato che questo composto comprometteva la crescita e causava decolorazione fogliare in diverse piante [1].
l leptospermone è stato poi usato come composto guida per lo sviluppo di una classe di erbicidi sintetici, noti come erbicidi trichetonici, che si ispiravano dunque al composto naturale [4]. È stato determinato il meccanismo d’azione sia dei composti naturali che di quelli sintetici [4,5].
Il concetto che le piante possano produrre composti ad azione erbicida può essere controintuitivo e, naturalmente, vi starete chiedendo come fanno le piante stesse a proteggersi dagli effetti tossici. Sono coinvolte diverse strategie: per esempio spesso questi composti sono immagazzinati in compartimenti cellulari separati dai loro target molecolari o, in alternativa, i composti potrebbero essere conservati come precursori inattivi [6].
Nonostante la comune visione delle piante come organismi inattivi e in qualche modo passivi, esse sono in realtà parti attive degli ecosistemi, in continua interazione non solo con l’ambiente, ma anche con altri organismi, comprese altre piante [7]. Pertanto, ha senso che utilizzino sostanze chimiche per interferire con la crescita e le prestazioni delle piante vicine, un fenomeno noto come allelopatia [8].
Nel caso della pianta scovolino, il metabolita specializzato responsabile dell’effetto in natura è stato fonte di ispirazione per lo sviluppo di nuovi erbicidi. La possibilità di utilizzare come diserbanti prodotti naturali, o di sintesi ispirati da prodotti naturali, è legata non tanto alla loro ipotetica bassa tossicità (ricordiamo che naturale non significa sicuro), ma al fatto che l’evoluzione ha modellato questi composti per così tanto tempo, che vale la pena provare a trarne ispirazione. Probabilmente, l’argomento più convincente a sostegno della ricerca di erbicidi naturali è legato alla possibilità di scoprire modalità d’azione alternative rispetto a quelle dei composti attualmente disponibili, un’esigenza impellente per contrastare il sempre crescente problema di resistenza agli erbicidi.

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